lunedì 24 marzo 2008

BY ANY MEANS NECESSARY?



Quando ero piccola credevo che la differenza più grande tra bianchi e neri a parte i capelli, la forma del naso, la consistenza della bocca e i lobi delle orecchie -e ovviamente il colore della pelle- fosse che i neri erano buoni e i bianchi cattivi.


Magari farà sorridere qualcuno, ma giuro che la pensavo esattamente così.
E’ per questo infatti che ero convinta che papà fosse più buono di mamma. Alla fatidica –e inquietante- domanda: "a chi vuoi più bene a mamma o papà?" rispondevo, come tutti i bambini, onde evitare i sensi di colpa, "a tutti e due".
Ed era vero.
Però in cuor mio sapevo che dei due quello buono era papà.

Provo vergogna a confessare che una simile convinzione mi ha accompagnato fino a circa la maggiore età. L’idea che i bianchi fossero cattivi e i neri no. Del resto avevo pochi altri convincimenti incrollabili, e questo era uno di quelli.
L'autobiografia di Malcolm X a 16 anni aveva confermato le mie intuizioni. Così anche il sorriso di Bill Cosby, la lunga odissea di N. Mandela, la lettura delle Piccole donne. One love di B. Marley, la persecuzione di Ben Johnson, squalificato per doping alle olimpiadi di Seoul ‘88, la faccia da gigante-buono di Mister T, l’accanimento mediatico contro Tyson per il morso all’orecchio di Holyfield (peraltro nero anche lui) nel ’97. E poi che dire di Arnold.

C’è una battuta di Io e Annie in cui il padre di Alvy battibeccando con la madre a proposito della donna delle pulizie sospettata di aver fatto sparire qualche pezzo dell’argenteria, le grida: “E’ una donna neraaaa, ha il diritto di rubare i nostri soldiii!!!”. Cito testualmente o quasi.


Ho condiviso a lungo quest'idea, l’ho sostenuta, l’ho difesa in pubblico mentre la gente rideva da matti pensando che dicessi per scherzo. E invece no.
Non era l’attestazione di una patetica condiscendenza, ma il riconoscimento di un diritto politico sacrosanto. Get up, stand up, ruba (che ti spetta).

Bello e banale come Robin Hood: togliere ai bianchi per dare ai neri significava ristabilire un po’di giustizia nel mondo. Dico un po’ perché tutta la giustizia l’avremmo ristabilita dopo. Con la Rivoluzione, intendo.

Devo ammettere che ho maturato queste convinzioni in un contesto all white. Voglio dire che laddove tutti i neri con cui potevo solidarizzare erano o televisivi, o morti assassinati da qualche decennio, o semplicemente residenti in un altro continente, era fin troppo facile lasciarsi andare con la fantasia al migliore dei mondi neri possibili.

C’è voluto un po’ perché cominciassi a ricredermi da questa ingenua teoria della razza. C’è voluto ad esempio il fatto di rendersi conto che non tutti i neri sono neri veri. Ci sono quelli finti. E quelli bianchi, la specie peggiore. Lo diceva pure MX.

Causa la mancanza di esperienza in materia, avevo trascurato qualche dettaglio che, invece, grazie a successive varie frequentazioni, non ha tardato a palesarsi.

Mi è bastato abitare a Londra per un annetto (quando avevo diciannove anni) per capire che anche se sei jamaicano non sono obbligata a darti tutte le mie sigarette -che con il cambio mi costano un occhio. Se non mi piaci, comunque con te non ci esco, e se per miracolo ci esco il cab lo paghi tu.

Ho capito che nessuno ha il diritto di rubarmi l'argenteria, e nemmeno, nemmeno gli yogurt dal frigorifero.

Il nuovo millennio mi ha regalato ancora fior fior di occasioni per convincermi ad abbandonare la mia vecchia idea dei neri-che-sono-buoni-per-natura. La natura riguarda l'edera e non gli esseri umani.

Colin Powell, Condoleeza. Rama Yade. Potrei continuare a lungo, ma non vale la pena. Molti di loro sono ignoti al grande pubblico e noti solo a me.

A questo punto la confusione è divenuta totale, la mia chiara e nitida visione del mondo di bambina ne è uscita completamente alterata.
Mi chiedo spesso che razza di gente siano.



giovedì 20 marzo 2008

MOGLI, BUOI E DANZE DEL VENTRE


Ho visto ieri sera uno spettacolo di danza del ventre, carino.

Eppure provo sempre un certo imbarazzo quando vedo donne così tanto palesemente caucasiche fare cose poco caucasiche.


Come pure di fronte ai rastamen dalle lentiggini e gli occhi chiari che rimbalzano al ritmo di Peter Tosh con una pelle così bianca che più bianca non si può.


Sono consapevole del fatto che è un problema personale e non starei a teorizzarci sopra, non sul serio almeno. Ma un post è un post: qui posso fare teoria semiseria.

So anche che non è questione di 'credibilità' eppure mi chiedo se sarei 'credibile' con i miei cromosomi ad esibirmi in una danza popolare bretone.
E quanto? Jeannie la "strega per amore" del maggiore Nelson, bionda e con la frangetta, come odalisca non lo era poi tanto.

Ovvio che se me lo dicessero al contrario mi arrabbierei da morire.
Se mi dicessero cioè che un burkinabé deve fare percussioni tutta la vita perché il violino gli è precluso.
Se mi dicessero che se proprio vuole fare qualcosa di più intellettuale senza spaccarsi le mani su un tamburo al massimo il jazz. Credo che potrei mordere.

Come quando mi chiedono: "Ma tu la sai fare la danza del ventre?" "No, ma se vuoi c’è mio padre nella capanna che saltella con una lancia in mano intorno a un agnello arrosto".

Allora perché mogli e buoi dei paesi tuoi vale solo in un senso?

Provo a rispondere: perché non tollero che l’Occidente si diverta a usurpare la roba degli altri per farsene un ornamento, per di più ridicolo la maggior parte delle volte.
Banale?
A Parigi vivevo in un quartiere pieno di giovani e meno giovani fanciulle francesissime che si divertivano a travestirsi con stoffe wax per andare a far la spesa al mercato africano, ascoltavano solo musica africana, mangiavano africano –rigorosamente con le mani, danzavano africano e possibilmente scopavano africano.
Banali loro.


Ma l’Africa non è un aggettivo che diamo ai nostri passatempi quotidiani.

Questo esotismo da due soldi, spesso esibito in completa buona fede, mi irrita da morire.
Eppure lo confesso mi piace il sushi. E la tomme de Savoie. E non sono francese né giapponese.

Allora- ultimo tentativo di argomentare la mia tesi improbabile secondo cui un nero può giocare a biliardo e ascoltare Schubert, ma un bianco deve stare lontano dal mafè: forse è soltanto che non mi piace l’idea che il terzo mondo faccia –tra le altre mille mansioni degradanti- da intrattenimento al primo.

Poi un’altra cosa. Possibile che un velo nero sulla testa e si grida all’oppressione patriarcale, un velo trasparente davanti agli occhi e… applausi?